L’elaborazione dei progetti ferroviari fu contrastata dal riemergere di forti tendenze municipalistiche: attorno al controllo del commercio zolfifero incominciarono a mobilitarsi le elites politiche dei maggiori centri costieri

Immagine di una cartina della zona solfifera della Sicilia con l'indicazione dei gruppi di solfare in esercizio nell'anno 1885

Cartina della zona solfifera della Sicilia con l’indicazione dei gruppi di solfare in esercizio nell’anno 1885

I ceti mercantili catanesi premevano perché fossero costruite celermente strade dirette verso l’interno, urgenza determinata sia dalle esigenze commerciali, ma anche dalla necessità di rendere più agevole il trasporto del combustibile fino alle zolfare; solo una grande disponibilità di carbone avrebbe potuto agevolare l’installazione delle pompe idrauliche necessarie per lo svuotamento delle acque sotterranee e il funzionamento dei forni per la fusione dello zolfo, contribuendo a rendere possibile l’ammodernamento dei sistemi di estrazione.

Tra il 1869 e il 1870 vennero completate alcune ferrovie tra cui la Palermo-Lercara che, giungendo fino ad uno dei centri solfiferi più importanti, abbassava notevolmente il costo del trasporto, mentre da Catania una nuova linea si spingeva fino a Raddusa e Leonforte.

Negli anni settanta queste due linee posero le zolfare attive nelle provincie di Palermo e Catania in una posizione di privilegio rispetto a quelle delle zone più interne. Ciò pose le basi, soprattutto nella provincia etnea, per la crescita dei ceti mercantili locali legati allo zolfo, per l’ampliamento dei traffici diretti verso il porto catanese e lo sviluppo dell’industria raffinativa.

Ma in questi anni si riaccese il dibattito sulla necessità di adeguare le nuove costruzioni ferroviarie alle esigenze militari; l’urgenza di ottenere una rapida mobilitazione delle truppe e provvedere alla difesa di un paese che si estendeva lungo una linea longitudinale, induceva lo stato ad insistere nello sforzo finanziario necessario per le opere pubbliche. Il richiamo alle esigenze militari venne abilmente strumentalizzato da quei notabili siciliani che si battevano per modificare gli originari progetti ferroviari. Il generale Menandrea nel Dicembre 1871 aveva messo in discussione la questione delle linee litoranee, sostenendo che una rete basata prevalentemente su di esse avrebbe potuto rivelarsi pericolosamente soggetta al tiro dei cannoni nemici e consigliava quindi di costruire lungo la penisola alcune ferrovie internate.

Tale schema era stato ripreso in Sicilia da quanti appoggiavano la linea interna per Caltanissetta, Serradifalco e Montedoro: questo tracciato infatti attraversava l’isola mantenendosi a distanza sia dal Tirreno che dal Mediterraneo. In questo clima, negli anni settanta maturò lo scontro durissimo tra le provincie occidentali e quelle orientali per il controllo delle aree zolfifere interne.

I contrasti sorsero già nel 1865, quando furono intrapresi gli studi per il collegamento delle linee Palermo-Porto Empedocle e Catania-Licata. La legge del 28 Agosto 1870 sosteneva che la linea interna avrebbe dovuto avere due diramazioni, per Girgenti e per Licata. La prima proposta governativa si allontanava da questo progetto originario, poiché prevedeva la congiunzione di S. Caterina Xirbi con Lercara; ma la linea, che presentava l’innegabile vantaggio di essere abbastanza breve, avrebbe dovuto perforare le Madonie, cosicché venne subito presentata una variante che prevedeva l’attraversamento della Valle del Salito ed il collegamento di Xirbi con Campofranco. Le elites politiche nissene insorsero contro questa prospettiva, osservando che la ferrovia sarebbe stata troppo distante da Caltanissetta. Venne presentata allora una nuova proposta che prevedeva un tracciato più a sud, lungo la linea per Caltanissetta, S. Cataldo, Serradifalco, Montedoro, Buonpensiere e Campofranco. Il percorso così ideato sarebbe stato più lungo di tredici chilometri rispetto a quello del Salito ma avrebbe soddisfatto due esigenze: l’avvicinamento della stazione ferroviaria a Caltanissetta e l’attraversamento di una zona ricca di zolfare.

La polemica mobilitò anche i ceti mercantili di Girgenti, i quali avanzarono la loro proposta: essa spostava ancora più a sud la linea ferroviaria, prevedendo un nuovo tracciato che toccava il quadrivio delle Caldare per risalire poi verso Campofranco e Lercara.

In breve tempo si trovarono schierate a favore della linea Montedoro le deputazioni provinciali nissene e palermitane, mentre la via delle Caldare veniva sostenuta dai comuni di Catania, Messina, Siracusa e Girgenti.

Aldilà dei conteggi chilometrici, era chiaro come il contendere delle città costiere riguardasse essenzialmente il monopolio del commercio zolfifero e le prospettive di sviluppo portuale legate a questi traffici. Gli zolfi di Lercara, per esempio, erano molto richiesti dai commercianti attivi nel porto palermitano, che era dogana di prima classe e rappresentava un approdo sicuro, dotato di grandi banchine per il carico e lo scarico.

I committenti preferivano pagare un prezzo più alto pur di acquistare lo zolfo a Palermo, anziché scendere fino a Girgenti o a Licata: infatti le navi che si dirigevano verso le coste meridionali dell’isola dovevano affrontare un tragitto più lungo, e incontravano spesso delle difficoltà per l’approdo a causa delle acque basse e delle inadeguatezze portuali. Per gli esercenti nisseni era quindi molto più conveniente vendere lo zolfo a Palermo, e ciò costituiva un elemento fondamentale per l’appoggio dei ceti mercantili nisseni alla linea di Montedoro. Le elites politiche palermitane rivendicavano invece il diritto di estendere la propria egemonia economica sulle aree interne, ed ottenere quindi il riscatto simbolico della decadenza nella quale era piombata l’ex capitale dopo il crollo borbonico:

La città di Palermo – protestava la deputazione provinciale – detestando un governo che atterriva, congiunse le sue sorti al continente italiano. Ma allo stesso tempo molti e gravi interessi sacrificava: ad una vita quantunque stentata, ma alimentata da numerosi impieghi che la sede di un governo locale richiede, altra al momento non sostituiva, ove scarso era il commercio, nulla l’industria. Palermo soffrì di quei momenti dolorosi, che nella vita economica delle nazioni si chiamano di transizione, e in un momento di dolore fece la triste giornata del Settembre 1866.

Escluso il tracciato del Salito, l’attenzione del governo si concentrò su quelli di Montedoro e delle Caldare. I primi studi relativi ai costi di realizzazione seguivano a vantaggio della linea delle Caldare un risparmio di tre milioni di lire e l’attraversamento di terreni abbastanza solidi, mentre quella per Montedoro avrebbe dovuto combattere le insidie di un suolo estremamente franoso. Inoltre le zolfare site a Montedoro languivano economicamente, registrando un calo costante nella produzione mineraria, contro il progressivo aumento dell’attività estrattiva nell’area agrigentina.

Lo scontro divenne durissimo. I ceti mercantili palermitani reclamavano a gran voce la linea per Montedoro, per la necessità di scuotere l’industria e il commercio cittadino attaccati dalla concorrenza delle altre città siciliane. La prospettiva di Montedoro interessava gli speculatori palermitani non soltanto per il commercio zolfifero, ma anche per il ferro, i tessuti e i generi coloniali. Si prefigurava la possibilità di condurre buoni affari incettando anche grosse quantità di prodotti agricoli provenienti dalle zone interne, quali i cereali, le mandorle, l’olio e i pistacchi.

Il Consiglio dei Ministri decretò nel 1873 la costruzione della linea per Montedoro e ciò non tanto per vantaggi economici, quanto per le considerazioni politiche che consigliavano di evitare qualsiasi malcontento a Palermo. Ma appena iniziati i lavori il Governo si accorse delle difficoltà da affrontare: in molte parti il terreno, saggiato da trivella, mostrava vuoti anche per 18 metri di profondità. Vennero subito studiate delle varianti al tracciato, ma queste non avrebbero assicurato in ogni caso un regolare esercizio durante la stagione invernale.

Si riaccesero quindi le polemiche. L’Ing. Mottura propose una linea per le due Imere, il cui tracciato partiva da Palermo, attraversava le Madonie con una galleria di 6 Km, sboccava a Fortolese giungendo a Caltanissetta dopo un tracciato di 134 Km. La nuova ferrovia si proponeva anche di attirare gran parte dei prodotti coltivati nell’entroterra di Cefalù, dove accanto agli antichi uliveti e castagneti si diffondevano le colture di agrumi.

Contro la linea delle due Imere venne progettata la linea Palermo-Vallelunga-Caltanissetta e le polemiche aumentarono. Solo nel 1877 si giunse ad un accordo parziale e vennero appaltati i due tronchi della linea Roccapalumba-Caltanissetta fino al tratto di Marianopoli, per un totale di 36 Km sui 62 complessivamente previsti. Il 18 Luglio 1878 veniva approvato il progetto definitivo, che prevedeva la costruzione per conto dello stato sia della linea Vallelunga, sia della variante Caldare-Canicattì. La lunga controversia era così conclusa, favorita anche dal nuovo quadro politico che si era delineato dopo le elezioni amministrative dell’Agosto 1875, che avevano provocato anche a Caltanissetta la sconfitta della Destra storica, rappresentata da Filippo Cordova e Pugliese Giannone, rimpiazzati dal commerciante di zolfi Tumminelli Conti e da alcuni esponenti della nuova borghesia, come gli avvocati Minichelli e Mancuso Chiara, il medico Leonardi, il notaio Mastrosimone. La nuova giunta municipale elaborò nel 1877 un vasto programma di lavori pubblici per il collegamento con la stazione ferroviaria e la realizzazione delle strade comunali, mentre il consiglio provinciale accolse la proposta di costruire a proprie spese le nuove ferrovie dirette verso Licata e Porto Empedocle.

Il tronco delle Caldare di Km 27,083 venne aperto all’esercizio il 3 Novembre 1880, mentre la linea Vallelunga fu completata nel 1881, ad eccezione dei 7 Km della galleria Marianopoli aperti 5 anni dopo.