Il 13 marzo 1282 Palermo insorse ribellandosi e cacciando via i francesi ed in poco tempo la rivoluzione popolare, che prese il nome di “Vespri siciliani”, divampò in tutta l’isola, dove la maggior parte dei Francesi furono trucidati e privati di cristiana sepoltura.

Il vespro siciliano a Catania.

Il risentimento dei Siciliani nei confronti di Carlo d’Angiò fu determinato, innanzitutto, dalla sua posizione di guelfo in un paese di tradizione ghibellina; inoltre Carlo introdusse in Sicilia una classe dirigente di provenienza franco-provenzale e trasferì il centro della pubblica amministrazione a Napoli, togliendo all’isola la sua posizione di primo piano.

Gli esuli della corrente sveva cercarono appoggi presso le monarchie europee e trovarono accoglienza favorevole presso Pietro III d’Aragona, che aveva visto vanificate le sue mire sulla Provenza, dove era stato soppiantato da Carlo d’Angiò, che aveva sposato Beatrice, figlia del conte di Provenza Raimondo Berengario IV.

L’Aragona si era recentemente fusa con la Catalogna, acquistando, così, l’importante porto di Barcellona, e Pietro III vedeva nella Sicilia una concreta possibilità di espansione commerciale per i mercanti catalani.

Egli prese in moglie nel 1262 la principessa sveva Costanza, figlia di Manfredi, che contribuì a creare un legame tra Aragona ed esuli svevi, che sostenevano il diritto di Costanza al trono di Sicilia.

Pietro III disponeva, però, di scarsi mezzi e chiese aiuti finanziari al papa ed al re di Francia, fingendo di preparare una Crociata contro gli infedeli, aiuti che furono impiegati per il potenziamento della flotta. L’impresa si presentava difficile per la notevole sperequazione esistente tra le forze di cui disponeva Carlo d’Angiò e quelle di Pietro III, ma giocò a favore di quest’ultimo l’improvvisa insurrezione dei Siciliani.

Il 13 marzo 1282 (era il lunedì di Pasqua) Palermo insorse; la scintilla fu l’occasionale insulto di un soldato francese ad una donna siciliana nel corso di una perquisizione per cercare armi. Il soldato fu ucciso ed in poco tempo la rivoluzione popolare, che prese il nome di "Vespri siciliani", divampò in tutta l’isola, dove la maggior parte dei Francesi furono trucidati e privati di cristiana sepoltura.

L’ultima città ad insorgere fu Messina, dove contraria alla rivolta era l’aristocrazia mercantile, che, sempre in concorrenza con quella di Palermo, era stata favorita da re Carlo; ma la ribellione popolare costrinse la città a schierarsi con i ribelli. La rivolta dei ceti urbani si affiancò, così , a quella della nobiltà, che da tempo la progettava.

Le città siciliane non desideravano, però, l’intervento esterno di alcun monarca, ma guardavano all’esempio dei Comuni lombardi e toscani. Esse si dettero ordinamenti comunali autonomi e costituirono una confederazione. A Messina si riunì un parlamento generale di tutta l’isola, che nominò otto capitani e governatori, rifiutando di accettare re stranieri. Messina e Palermo coordinavano rispettivamente le città della Sicilia orientale e di quella occidentale.

Un grosso problema era costituito dai rapporti con il papa, che non cedette alle suppliche dei Siciliani, che gli offrivano la sovranità feudale della confederazione. Il papa Martino IV, che era francese, interpretò il Vespro come una sollevazione contro la Chiesa, che aveva investito Carlo d’Angiò, scomunicò i ribelli e ordinò loro di sottomettersi al loro sovrano.

Nell’imminenza dell’arrivo dell’esercito di re Carlo, mentre Messina si preparava alla difesa, Palermo vedeva di buon occhio la soluzione aragonese. La spedizione, preparata ufficialmente da Pietro III contro Tunisi, fu effettuata, ed a Tunisi Pietro III rimase in attesa di notizie dalla Sicilia.