Il lavoro degli operai nelle zolfare si svolgeva nelle viscere della terra in condizioni assai disagiate per la temperatura elevata ed i gas nocivi, le cui esalazioni erano, talvolta, mortali.

Come veniva trasportato lo zolfo nella miniera di Trabonella di Caltanissetta

Carrelli per il trasporto dello zolfo nella miniera Trabonella di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

La ventilazione era difettosa e non era infrequente la presenza di gas asfissianti (acido carbonico o "rinchiusu") e di gas esplodenti (idrogeno solforato o "antimoniu") facilmente infiammabili per la presenza delle lanterne ad acetilene ("citalena").

Lo scarso livello tecnico dei lavori di preparazione era causa frequente di crolli, che seppellivano intere squadre di operai.

Le miniere erano, inoltre, lontane dai centri abitati e gli operai le raggiungevano a piedi il lunedì mattina per tornare in paese il sabato sera. Per tutta la settimana alloggiavano nella miniera, dove si preparavano alla meglio un giaciglio e si rifornivano di cibo in una bottega del posto.

La figura più importante del lavoro del sottosuolo era il "picconiere", a cui era affidata la ricerca dei filoni zolfiferi e l’escavazione del minerale. Esso veniva trasportato a spalla dall’interno all’esterno dai "carusi" (ragazzi), spesso di età inferiore a 14 anni, che trasportavano da 30 a 80 Kg. di minerale per volta ed erano legati ai picconieri da contratti di cottimo.

A completare i lavori all’interno delle zolfare c’erano, poi, le categorie degli "spisalora" (addetti ad opere di manutenzione nelle gallerie) e degli "acqualora" (addetti all’eduzione delle acque affioranti nelle gallerie).

All’esterno troviamo i "carcarunara" e gli "arditura". I primi lavoravano in squadre di 20- 40 unità ed erano addetti alla predisposizione ed allo sgombero dei calcaroni; i secondi soprintendevano a tutte le fasi di fusione e di colatura dello zolfo, che veniva raccolto in recipienti di legno ("gaviti"), da dove si sformavano i pani di zolfo ("balati") destinati alla spedizione.

C’erano, infine, alcune categorie addette a lavori secondari: catastieri, muratori, fabbri, pesatori, sorveglianti diurni e notturni.

La direzione dei lavori in miniera era affidata ai capomastri, in genere ex-picconieri, le cui competenze erano legate all’esperienza degli anni trascorsi in miniera. Dopo il 1864, anno in cui a Caltanissetta sorse la scuola mineraria, istituita e presieduta dall’ing. Sebastiano Mottura, le miniere più importanti ebbero periti e capiminatori ben preparati.

I lavoratori delle miniere nel 1860 erano circa 16.000, per raggiungere le 30.000 unità nel 1880. Agli inizi del ‘900 erano circa 40.000. Si concentravano, soprattutto, nelle province di Caltanissetta e di Girgenti (Agrigento) ed esprimevano apprezzabili livelli di professionalità.

Il duro e malsano lavoro della zolfara rovinava irrimediabilmente la salute dei minatori, specie dei "carusi", che, essendo costretti ancora in tenera età a portare pesi considerevoli, presentavano assai spesso uno sviluppo fisico inadeguato alla loro età.

Quasi tutti i "carusi" avevano una spalla più bassa dell’altra e la zona della testa, dove veniva appoggiato il carico, era priva di capelli.

Una malattia assai frequente tra gli zolfatari era l’anchilostomiasi (anemia dei minatori), causata da un parassita che attacca i polmoni e l’intestino, provocando emorragie.

La maggior parte dei minatori erano analfabeti, la vita dura che conducevano li abbrutiva, li rendeva rissosi e violenti.