I bacini minerari erano di vaste proporzioni e sarebbe bastata l’apertura di poche zolfare bene attrezzate per garantirne un razionale sfruttamento.

Locali abbandonati della miniera Gessolungo a Caltanissetta

Stato di abbandono della miniera Gessolungo di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

Un rilevamento topografico della zona zolfifera operato dal Corpo delle miniere nel 1886 dimostrava che le 567 zolfare esistenti (389 attive e 178 inattive) potevano, per uno sfruttamento razionale e meccanizzato, essere riunite in soli 150 gruppi con la possibilità di investimenti economicamente convenienti per il miglioramento tecnologico.

Essendo, però, il sottosuolo legato alla proprietà fondiaria, solo nei latifondi sorsero miniere di grandi dimensioni, mentre altrove si affiancavano l’una all’altra piccole miniere malamente attrezzate e destinate ad una vita breve. Non mancava il caso di campi minerari estesi, appartenenti ad uno stesso proprietario, dati in affitto in molte porzioni, ciascuna delle quali appena sufficiente per l’impianto di una zolfara.

In altre località, ancora, si avevano suddivisioni di proprietà piccolissime, sicchè zolfare aperte in un ettaro di superficie avevano decine o addirittura centinaia di comproprietari. La parcellizzazione dei bacini zolfiferi rappresentò uno dei più gravi difetti del settore in Sicilia, perchè non consentì una razionale organizzazione produttiva.