Il Tanucci sfruttò una questione politica estera e la pirateria che affliggeva la Sicilia per mettere in atto il suo piano politico. Dispose un piano di popolamento di alcune isole disabitate, rifugio dei pirati musulmani, ma senza prendere le adeguate precauzioni difensive.

Il Tanucci, consapevole dell’impossibilità di smantellare il blocco compatto della nobiltà e della Chiesa, con grande abilità sfruttò una questione di politica estera per aprirvi una breccia. Un problema che affliggeva il regno delle Sicilie era la pirateria: nonostante gli accordi firmati con l’impero ottomano, nel mondo islamico vi erano aggregati minori che operavano in modo indipendente dalla Porta ottomana, come i bey di Tunisi e di Algeri. Nella guerra corsara si catturavano da entrambe le parti prigionieri per renderli schiavi: se in terra musulmana c’erano schiavi cristiani, in terra cristiana c’erano schiavi musulmani, che, a volte, erano stati acquistati al prezzo di 50 ducati. Avere schiavi musulmani era segno di prestigio sociale e ne avevano al loro servizio sia il re di Sicilia, che i nobili e i ricchi mercanti di Napoli e di Palermo.

Per rafforzare le difese contro i pirati, fu deciso il popolamento dell’isola di Ustica, che spesso diventava rifugio dei pirati musulmani, essendo deserta, anche se ufficialmente proprietà dell’arcivescovo di Palermo. Il vicerè Fogliani la diede in censo ad un suo protetto, che dispose un piano di popolamento, che prevedeva distribuzione di terre in enfiteusi e agevolazioni fiscali per chi fosse andato ad abitarvi.

Il piano fu attuato senza, però, fare preventivamente le necessarie opere di fortificazione e l’isola fu oggetto di un’incursione di Saraceni, che fecero prigionieri tutti i suoi abitanti. Il fatto destò enorme scalpore in tutta Europa, fu stigmatizzato l’irresponsabile operato del vicerè e l’isola di Ustica fu acquisita al demanio, che la ripopolò, dopo avervi costruito le necessarie opere di fortificazione.

Restava, comunque, il problema delle incursioni saracene, che richiedeva il rafforzamento della marina militare del regno. Richiedere a tale scopo donativi al parlamento siciliano significava esporsi a richieste di contropartite da parte dei nobili, ed il Tanucci seppe abilmente risolvere il problema portando avanti contemporaneamente la sua politica di limitazione delle prerogative baronali ed ecclesiastiche. Essendo morto l’abate titolare della chiesa di Santa Maria dell’Altofonte, il Tanucci decise di acquisire al fisco le sue consistenti rendite, per devolverle alla costruzione di quattro sciabecchi (battelli), che vigilassero sulla sicurezza delle coste del regno ed anche di quelle dello stato pontificio, dal momento che si impiegavano risorse ecclesiastiche. Nonostante l’opposizione manifestata dal principe di Camporeale, il provvedimento passò in parlamento, tanto più che la costruzione dei battelli fu effettuata nell’arsenale di Palermo. Il Tanucci aveva assicurato la difesa delle coste dai pirati senza chiedere denaro a nessuno e nel contempo aveva sottratto ai baroni una rendita cospicua.

Un progetto di ripopolamento fu avanzato anche per Lampedusa, ma non fu attuato, perchè la sua posizione periferica rispetto al sistema difensivo generale del regno rendeva il progetto troppo costoso.

Rimase, comunque, in piedi il progetto del Tanucci, che aveva anche il consenso della Santa Sede, di risolvere il problema della sicurezza dei mari utilizzando le rendite delle chiese siciliane di regio patronato, man mano che le sedi si fossero rese vacanti per la morte dei beneficiari, il che consentì di creare a Palermo un moderno cantiere navale con l’impiego di molta manodopera locale.