I giacimenti zolfiferi siciliani occupano una vastissima zona nella parte centrale dell’isola

Particolare di ingranaggi di un'attrezzatura della miniera Gessolungo di Caltanissetta

Ingranaggi di attrezzature della miniera Gessolungo di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

Nelle province di Caltanissetta, Agrigento, Palermo, Enna, Catania; lo zolfo si trova misto a uno o più tipi di rocce, come gesso, calcare, argilla e marne.

Recenti scavi archeologici effettuati nel 1998 dall’archeologo G. Castellana in contrada Montegrande tra Agrigento e Palma di Montechiaro hanno portato alla luce reperti archeologici che documentano l’esistenza di una zolfara appartenente ad un insediamento greco risalente al XVI sec. a.C., e quindi ad un’epoca anteriore alla presenza dei Micenei (XIV sec. a.C.).

I Greci, secondo questa testimonianza, già nell’età del bronzo estraevano e raffinavano lo zolfo con metodi assai simili a quelli usati in epoca storica e lo esportavano nei paesi del Mediterraneo. Esso veniva usato per riti purificatori e per confezionare prodotti farmaceutici.

Nonostante gli antichi usassero lo zolfo in medicina e nella lavorazione dei tessuti, gli storici antichi non fanno alcun cenno dei giacimenti siciliani, infatti lo storico Plinio, nella sua "Naturalis historia", fa menzione dell’estrazione dello zolfo in Campania e nelle Eolie, ma non parla della Sicilia.

Ce ne danno notizia, invece, reperti epigrafici come le "tabulae sulphuris", conservate nei musei di Palermo e di Agrigento, che dimostrano come già alla fine del II sec. d.C. esistevano miniere imperiali, dove lavoravano schiavi e delinquenti comuni.

Documenti del periodo arabo (IX-XI sec.), che consistono in testi di geografi arabi raccolti da Michele Amari, parlano dell’estrazione dello zolfo fatta da picconieri che, a causa del forte calore, perdevano i capelli e le unghie.

I giacimenti affioravano a profondità irrisorie e i primi lavori di sfruttamento furono a carattere artigianale. Gli stessi contadini provvedevano a scavare il minerale ed a separare con rudimentali mezzi di fusione lo zolfo dalla "ganga" (materiale roccioso a cui si trova commisto).

Le prime opere minerarie consistettero in gallerie fortemente inclinate, che raggiungevano lo strato zolfifero; l’eduzione delle acque, che sempre si trovano nei giacimenti zolfiferi siciliani, veniva fatta a mano con recipienti detti "quartare", l’areazione era data dall’apertura all’imbocco della galleria.

L’attività di estrazione, ancora alla fine del ‘700, era fatta con metodi empirici e le miniere venivano abbandonate non appena si esaurivano le vene affioranti dello zolfo.

La produzione annua non superava le 2.500 tonn. ed i prezzi medi si aggiravano intorno alle 52 lire per tonn. ai porti di imbarco di Licata e Porto Empedocle, dove venivano caricati sui velieri diretti a Marsiglia, per essere impiegati nelle fabbriche di acido solforico e di soda artificiale.

Una data segnò il decollo dello zolfo siciliano: il 1791, anno in cui venne brevettato il metodo Leblanc per la fabbricazione della soda, basato sul trattamento con acido solforico del sale comune.

Da quel momento lo zolfo siciliano entrò in quantità consistenti nei circuiti internazionali. Nel 1815 la produzione oscillava tra le 6.500 e le 9.000 tonn. ad un prezzo medio di I20 lire la tonnellata.