Il minerale di zolfo, dopo che veniva estratto e portato alla superficie, veniva trattato per separare lo zolfo dalla ganga, formata in grandissima parte da carbonato di calcio ed in minima parte da solfato di calcio.

Particolare delle attrezzature utilizzate nella miniera Gessolungo di Caltanissetta

Particolare delle attrezzature utilizzate nella miniera Gessolungo di Caltanissetta – Foto di Vincenzo Santoro

Il primo mezzo impiegato in Sicilia per il trattamento del minerale di zolfo fu la "calcarella". Essa consisteva in una piccola fornace circolare in muratura del diametro di m.1,50-2, profonda da m. 0,30 a m. 0,80 nella parte posteriore, da m. 0,80 a m. 1,30 nella parte anteriore. In essa il minerale veniva accumulato in tre strati, a seconda della grossezza.

Si dava fuoco al minerale degli strati inferiori e, essendo la calcarella posta su di un piano inclinato, dopo 6-7 ore lo zolfo cominciava a colare fuso da un foro, detto "morte", praticato nella parte più bassa, veniva raccolto in forme di legno, dette "gaviti", e, dopo il raffreddamento ed il consolidamento, veniva confezionato in forme a tronco di piramide rettangolare, dette "balati".

Verso il 1850 prese fuoco accidentalmente una catasta di minerale e, per smorzare l’incendio, si coprì la catasta con rosticci fini. Questo non bastò a spegnerlo e, dopo pochi giorni, covando sempre il fuoco e liquefacendosi lo zolfo, esso cominciò a scorrere.

La catasta si trovava su di un pendio ed il liquido si versava nella parte più bassa. In questa occasione si osservò che la qualità dello zolfo che colava era di grana più fina e di un colorito migliore rispetto a quello che si otteneva dalla combustione delle calcarelle. Si adottò, così, il nuovo sistema, che prese il nome di "calcarone".

Esso non era altro che una calcarella di colossali dimensioni con la sommità coperta di rosticci per moderare e regolare la combustione dello zolfo. Il calcarone presentava, rispetto alla calcarella, il vantaggio di ridurre del 30% la perdita di zolfo contenuto nel minerale, ma anch’esso presentava l’inconveniente di sprigionare anidride solforosa, che danneggiava le coltivazioni vicine.

Ben presto questo divenne per i proprietari limitrofi oggetto di speculazione. Essi pretendevano dagli esercenti indennizzi cospicui ed erano frequenti le liti su tali questioni. In realtà con l’incremento del commercio dello zolfo dopo il 1830 i rapporti tra agricoltura ed attività mineraria evidenziarono un conflitto insanabile.

I fondi archivistici dell’intendenza di Girgenti (Agrigento) e Caltanissetta a partire dagli anni Trenta del 1800 sono pieni di documenti attestanti le proteste di proprietari ed amministrazioni comunali contro i danni provocati dall’anidride solforosa alle attività agricole.

I numerosi regolamenti emanati per disciplinare i periodi dell’anno e le modalità di fusione degli zolfi non riuscirono ad arginare l’inesorabile deterioramento dell’equilibrio ecologico nelle zone minerarie. Il paesaggio dell’interno della Sicilia, a vocazione agricola, veniva, così, alterato dalla presenza delle miniere.

Vi furono numerosi tentativi per trovare mezzi di fusione che permettessero di migliorare il rendimento del minerale e di diminuire i danni provocati dall’anidride solforosa, ma solo nel 1880 si realizzò una vera e propria svolta tecnologica con l’invenzione del forno a celle comunicanti dell’ing. Roberto Gill, sperimentato nella zolfara Gibellina ed esteso, poi, a tutte le grandi zolfare.

Il forno Gill, come il calcarone, era basato sull’utilizzazione dello zolfo come combustibile per la fusione dello zolfo stesso, ma presentava, rispetto ad esso, il vantaggio di essere sottratto all’azione degli agenti atmosferici e di permettere il trattamento anche di piccole quantità di minerale, sicchè la produzione poteva essere costante tutto l’anno. Inoltre la perdita di zolfo, che nel calcarone era del 35-40%, era ridotta al I5-25%.

Nei primi del ‘900 il forno Gill ebbe il sopravvento sul calcarone, ma non riuscì ad eliminarlo, soprattutto nelle piccole e medie zolfare, dato il suo maggiore costo di impianto.

Nel dopoguerra, quando già l’industria zolfifera era in fase di smantellamento, fu realizzato un notevole progresso tecnologico con l’applicazione del sistema di flottazione, che consentiva il recupero del 99,5% di zolfo dal minerale. Esso fu sperimentato nella zolfara Cozzodisi (Casteltermini) e fu esteso nel 1955 al complesso della Trabia-Tallarita (Riesi) e nel 1957 alla Montagna Mintina (Aragona) ed alla Trabonella (Caltanissetta).