Se il paesaggio è il risultato del lavoro umano, l’immagine che ne fissa efficacemente i caratteri e ne identifica le linee essenziali, costituisce un documento rivelatore delle capacità di trasformazione dell’ambiente e delle aspirazioni di una determinata società.

Tra Monte Capodarso e Monte Sabucina l’Imera forma una stretta gola: qui per collegare le due sponde del Fiume, s’innalza il Ponte Capodarso, opera di notevole valore storico-architettonico, edificato nel 1553 sotto Carlo V da “mastri” veneziani.

Dice George Duby: ”la topografia che il geografo ha davanti agli occhi e che si sforza di capire, dipende certo da elementi tanto materiali quanto lo sono le formazioni geologiche, ma dipende anche e in misura molto maggiore di quanto si immagini, da rappresentazione mentali, da sistemi di valori, da una ideologia. E rappresenta la traduzione, l’iscrizione sul suolo, della globalità di una cultura”.

Più di vent’anni fa, lo sguardo colto e consapevole, la sensibilità di Edoardo Bartolotta e di Giuseppe Cancemi, insieme all’entusiasmo e all’iniziativa degli altri soci fondatori della Sezione Nissena di Italia Nostra, misero in evidenza – sottraendolo all’abbandono, alla rimozione, alla cancellazione – uno dei territori, uno dei paesaggi più interessanti e complessi della Sicilia interna: la Valle del Fiume Imera meridionale, o salso.

Da qui, l’intuizione, l’idea di un parco fluviale come struttura territoriale integrata di risorse storico- geografiche, archeologiche, geomorfologiche, di antropizzazione rurale, di ambiente botanico e faunistico, di zone ricreativo- culturali, come modello di salvaguardia attiva dell’ambiente. L’idea fu presentata ed ampiamente discussa in un Convegno regionale, che ebbe luogo nell’Aula consiliare del Comune di Caltanissetta, nel 1984.

Attraverso un lungo iter, si arrivò al 27 ottobre 1999 quando, con apposito decreto, venne istituita dalla Regione Siciliana, la Riserva naturale orientata “Monte Capodarso e Valle dell’Imera meridionale”. La Riserva, di 1.485,12 ettari, più le nuove aree inserite nell’elenco dei Siti di Importanza Comunitaria e nel Network dei Geoparchi Europei, è stata affidata in gestione all’Associazione nazionale Italia Nostra.

Nella Riserva sono state individuate una zona A, di 679,79 ettari(che definisce l’habitat, il letto del fiume- a protezione integrale) ed e una zona B, di 805,33 ettari(di pre-Riserva). Essa è compresa nei territori dei Comuni di Caltanissetta, Enna e Pietraperzia, estendendosi tra il monte Capodarso, a nord, ed il ponte Besaro, a sud.

La Riserva è orientata, basata cioè su una gestione che accoglie, accompagna quelle attività tradizionali che, nel tempo, sono state il motore dell’economia locale.

UN PAESAGGIO “COMPLESSO”

Vi sono degli elementi del paesaggio che, per il loro carattere di preminenza e di locazione rispetto all’intorno, accolgono una particolare densità di significato. Il monte Sabucina è uno di questi elementi, autentico condensatore di segni, luogo della memoria e insieme luogo della produzione. Situato a nord-est di Caltanissetta, il monte si erge a 720 metri sul livello del mare, dominando, insieme al monte Capodarso, il tratto Centrale dell’ampia Valle dell’Imera meridionale. Un percorso sinuoso, tra ulivi millenari e spettacolari cave di pietra, conduce alla parte alta del monte, sede di un parco archeologico, che recinge i resti di antichi insediamenti umani, qui presenti dalla prima età del Bronzo alla fine del IV secolo a.C.

La parte bassa del monte fu la prima ad essere abitata. Qui, le popolazioni della prima metà del Bronzo antico, edificarono villaggi e scavarono necropoli con tombe del tipo a grotticella. Tra il XII e il X secolo a.C. i Sicani si insediarono sulla sommità del monte, costruendovi un villaggio. Sono ancora visibili i muri circolari a secco che formavano le basi delle capanne. Il villaggio venne in seguito distrutto, probabilmente ad opera dei Siculi.

Nel corso del VII secolo a.C., le popolazioni indigene tornarono nuovamente ad occupare la sommità del monte, edificandovi un nuovo centro abitato. Il villaggio, molto esteso, era costituito da abitazioni rettangolari a più vani, dotate di cisterne per la raccolta dell’acqua piovana, e collegate fra loro in modo da formare delle corti. Dalla ceramica e dalle monete trovate nel corso degli scavi, si deduce che il centro ebbe contatti commerciali, culturali e politici, con le due grandi città greche di Gela e Agrigento. La costruzione, nel VI secolo a.C., quando il centro era entrato nell’orbita politica greca, di una cint di fortificazioni intorno all’acropoli, non salvò Sabucina da una seconda distruzione, avvenuta nella metà del V secolo a.C., probabilmente durante la rivolta sicura di Ducezio contro i Greci.

Dopo tale distruzione, Sabucina venne nuovamente ricostruita fiorì fino alla fine del IV secolo a.C. quando la montagna venne definitivamente abbandonata. A quest’ ultima Sabucina, appartengono i resti delle mura e torri di fortificazione che delimitano i resti dell’abitato.

E’ indubbia, nella storia della Sicilia, la collocazione strategica della città di Sabucina, a controllo di una vasta are del territorio circostante. Un tempo, il fiume Himera, ne rappresentava la principale via di penetrazione, favorendo i collegamenti nord- sud dell’isola. Oggi, l’autostrada Palermo- Catania ne segna il corso a nord di Caltanissetta, mentre la strada a scorrimento veloce Caltanissetta- Gela quello a sud, confermando la funzione di collegamento naturale svolta dal fiume tra l’entroterra e le zone costiere. Del territorio circostante, alla sommità del monte Sabucina possiamo leggere i segni delle trasformazioni della società contadina, del mutare degli assetti economici, del progredire delle tecniche.

Nella solitudine delle campagne,prevalentemente spoglie, tipiche della Sicilia interna, spiccano le masserie, unità complesse che amministravano il latifondo: costituzioni dalla semplice, archetipica volumetria, venivano realizzate in luoghi elevati, da dove era possibile il controllo di una vasta porzione del feudo, di cui costituivano polo figurale e amministrativo. Le masserie della Valle dell’Imera sono del tipo a baglio o a cortile aperto. Le campagne, inoltre, sono costellate da ex mulini idraulici, ricoveri temporanei, pagliai e fondaci, caratterizzati da murature in conci di pietra calcarea locale rasata da malta, e da tetti in legno rivestiti con coppi di argilla chiara.

Nel territorio, oltre alle masserie, sono presenti le antiche zolfare: oggi muti relitti di un’attività mineraria assai diffusa fino a pochi anni fa, si inseriscono vistosamente in questo paesaggio, non solo con i loro impianti, ma anche con le nudità dei terreni circostanti. “Nel chiuso mondo contadino della Sicilia- scrive Leonardo Sciascia- la zolfara rappresentò una grande apertura, una grande occasione di presa di coscienza. In quella sorta di dittatura del feudo, lo zolfataro si e rivelato un ‘personaggio demoniaco’.

[…] Paradossalmente, più si rintanava nel buio ventre della terra, più l’uomo della miniera alzava il capo, guardava oltre l’orizzonte sprangato e passivo del contadino […] Oggi, delle miniere di zolfo, oltre alle residue pensioni e agli impianti abbandonati, restano opere letterarie documenti, fotografie […]”.

Altro elemento di grande evidenza, eloquenza paesaggistica- insieme al monte sabucina- è l monte Capodarso. Nel punto in cui i due monti quasi si incontrano, disegnando una stretta, suggestiva gola attraversata da fiume Imera, troviamo ciò che rappresenta una sorta di porta architettonica della Riserva: il ponte Capodarso. Superato questo e, salendo su per il monte lungo una tortuosa e panoramicissima trazzera, si giunge presso l’area archeologica di Capodarso. Qui, sorse un centro indigeno pre e protostorico, di cui non è stato tramandato il nome. Ma già, ad un primo esame del sito, vengono alla luce segnali inequivocabili della presenza di un antico insediamento, difeso a nord dalle rupi precipiti ed a sud da una poderosa cinta muraria, tutt’oggi visibile.

Capodarso, il cui significato si perde nella storia millenaria di queste terre, evoca il caldo, l’arsura potente di quel sole che, soprattutto in estate,sbreccia le rocce, sfianca; tutto pervade ed investe, colora di giallo e di rosso intenso.

In quelle contrade dedite al tempo immemorabile alla coltura del grano,s’incunea uno dei corsi d acqua più suggestivi, più interessanti della Sicilia: è L’Himera- Salso è oltre che il Fiume, strada di penetrazione. Lungo le sue giogaie, si sono addentrati uomini in cerca di nuove terre. Essi si stanziarono sulle alture: Capodarso, Sabucina, Gibil Gabib, la rocca di Pietraperzia, il monte Juculia, e continuarono a risalire il Fiume sino alle Madonie. L’Himera fu poi terra di confine, tra la cultura indigena della Sicilia orientale, e quella occidentale: Siculi e Sicani, posti ognuno a guardia del proprio territorio, gelosamente armati sulle rupi. Con l’arrivo dei Greci sulle coste, il Fiume favorì i contatti tra le popolazioni locali e la più evoluta civiltà ellenica.

Gli antichi Siciliani, si trovarono allora a vivere lo stupore della bellezza, dinanzi ai magnifici templi greci. Stupore, che la storia ha conservato in un singolare tempietto, ritrovato a Sabucina. Un manufatto in terracotta, plasmato dalle mani di un artigiano locale che, dopo aver osservato un tempio, dovette ricostruire a memoria le forme e, non conservandole un ricordo preciso, lo rivisitò ponendo i diversi elementi del dorico, secondo un ordine ed una composizione del tutto personali.

Il Fiume fu costretto a rimanere frontiera, tra Sicelioti e Punici; poi, dopo la pax romanzo- bizantina tra diverse fazioni arabe e berbere; poi, ancora tra la Sicilia Cinta Flumen Salsum e la Sicilia Ultra Flumen Salsum: due diverse regioni di quel “Regno di Sicilia” che L’Imperatore Federico II di Svevia volle tentare di ricostruire al centro del mondo di allora.

Il Fiume, confine lo fu pure per le difficoltà che frapponeva ai viaggiatori: Carlo V, Imperatore, volle superarlo con un ardito ponte, lo stesso che oggi rimaneggiato, collega i territori di Caltanissetta ed Enna. Gli anni e gli uomini,però, ne cancellarono lo spirito innovatore tant’e che Goethe così descrisse il suo traghettamento: “Castrogiovanni, domenica 29 aprile 1787. La pioggia caduta rendeva molto scomodo il cammino.[…] Giunti al fiume Salso invano cercammo di trovare il ponte. Ci sorpresero però degli strani preparativi. Degli uomini muscolosi erano pronti a due a due ad afferrare in mezzo alla pancia il mulo col cavaliere ed i bagagli in groppa e a guidarlo per un profondo tratto di corrente di là, su un’isoletta di ghiaia…” . Solo trent’anni dopo, il Re Ferdinando di Borbone, pose rimedio a questa incredibile mancanza, con la costruzione di una nuova strada che collegasse i due centri ed il restauro del ponte, che da allora continua a servire la strada statale Caltanissetta- Enna.

Fermandosi in prossimità del ponte, nel punto in cui si istituisce il sentiero che conduceva alla miniera Giumentaro, ha inizio la visita ala Riserva.

Qui, con l’ausilio delle guide di Italia Nostra, sarà possibile seguire un lungo percorso, tra i più interessanti, in Sicilia, per quanto riguarda l’aspetto storico – ambientale. Un altro ponte in pietra a taglio, di costruzione più recente – il ponte Besaro – definisce il confine meridionale della Riserva.

Questo territorio straordinario, affascinante, particolare, è oggi luogo di svago, di ricerca, di conservazione naturalistica ed etnoantropologica, di educazione ambientale.

L’Ente Gestore ha promosso e promuove iniziative di educazione ambientale nelle scuole, attraverso visite guidate e progetti di formazione, anche a carattere europeo. In collaborazione con gli altri Enti locali e regionali, ha predisposto diversi progetti ed azioni in ambito naturalistico, ma anche per il recupero delle ex miniere di zolfo Trabonella e Giumentaro, per una migliore fruizione dei luoghi, per la promozione dei prodotti dell’agricoltura e dell’artigianato.

La Riserva naturale orientata “Monte Capodarso e Valle dell’Imera meridionale” è oggi un luogo, un paesaggio recuperato, ritrovato, in cui sperimentare, vivere un rapporto intenso, affascinante, sorprendente, con la natura e la storia. Un frammento di futuro desiderabile, abitabile.

Leandro A. Janni
Presidente Regionale Italia Nostra
Fabio Orlando Editore

Una capanna dell’insediamento di Monte Sabucina appartenente alla cultura di Pantalica (XIII – XII a.C.)

Il tempietto fittile risalente al VI sec. a.C., rinvenuto a Sabucina e oggi conservato presso il Museo archeologico di Caltanissetta.