La politica dei vicerè spagnoli fu improntata più alla conservazione che al progresso, essi, infatti, miravano soprattutto a tenere l’ordine nell’isola.

Il loro operato fu sempre oggetto di critica da parte dei Siciliani, sia che fossero severi, sia che fossero permissivi, e la corruzione radicata nel costume delle classi dirigenti giunse al punto di avversare, alla fine del ‘500, la decisione del vicerè di nominare funzionari in base al merito e di stabilire per loro un numero fisso di ore di lavoro.

Nonostante le critiche alla politica viceregia, non vi fu in Sicilia un’energica politica di opposizione alla Spagna, che aveva trovato il modo di accontentare tutti: rispettava i privilegi delle classi dirigenti, rinunziando a fare riforme sociali, anche se necessarie; teneva a bada la plebe, fornendo pane a basso prezzo. Questa politica soffocò sul nascere lo sviluppo di una classe media produttiva, l’unica che avrebbe potuto promuovere lo sviluppo economico della Sicilia e rappresentare una valida opposizione alla politica spagnola.
Un altro motivo che impedì il formarsi di un’efficace opposizione alla Spagna fu la faziosità dei Siciliani, che faceva loro anteporre gli interessi personali personali a quelli "nazionali" e che metteva i baroni contro le città e le città l’una contro l’altra.

I baroni siciliani vivevano del reddito della terra, che, a volte, non era sufficiente a mantenere il loro lussuoso tenore di vita, costringendoli ad indebitarsi. Il latifondo, mantenuto integro dall’istituto del maggiorasco (i figli cadetti avevano solo una piccola rendita), era affidato ai "gabelloti", e, se qualche nobile decideva di occuparsi personalmente del suo feudo, magari introducendovi innovazioni, era guardato con disapprovazione dai suoi pari, che consideravano tale attività indegna di un nobile. Il reddito della terra non era reinvestito in essa nemmeno in parte, ma impiegato nella costruzione di palazzi e chiese e nel mantenimento di un lussuoso tenore di vita.

I titoli nobiliari erano molto ambiti dalla "nuova" nobiltà, arricchitasi con il commercio, e la Spagna assecondò questa tendenza vendendo in abbondanza titoli nobiliari, soprattutto durante il XVII secolo, e assecondò anche la tendenza dei nobili a trasferirsi a Palermo, dove potevano essere tenuti sotto controllo dai vicerè, che in molte occasioni deplorarono la loro predilezione per il lusso eccessivo, giungendo persino ad emanare leggi suntuarie. Il miraggio dello status sociale fu l’ostacolo maggiore al progresso, perchè i baroni non si curavano di proporre misure per il miglioramento economico della Sicilia, ma gareggiavano per il riconoscimento di titoli, a cui, magari, non avevano diritto, giungendo perfino a inviare lettere di protesta a Madrid.

I Siciliani erano orgogliosi di avere l’unico Parlamento che, accanto a quello inglese, avesse conservato i suoi privilegi e lo consideravano il mezzo per costringere la Spagna a chiedere la collaborazione della popolazione locale. Ciò era vero solo in parte, perchè questo istituto così importante non ebbe mai la compattezza e la coesione del Parlamento inglese, rinunciando, così, ad adottare una linea politica incisiva nei confronti della Spagna.

Nel XV secolo il Parlamento era composto di tre camere: la camera degli alti prelati ecclesiastici, la Camera baronale, la Camera demaniale, composta dai rappresentanti delle città del demanio, scelti, il più delle volte, dal governo. Paragonare la Camera demaniale alla Camera dei Comuni inglese non è esatto, perchè nella Camera demaniale non prevaleva la difesa degli interessi del terzo stato, ma la rivalità fra le città demaniali, tese ad accattivarsi il favore del vicerè.

Dopo il primo ventennio del ‘500 l’istituto parlamentare si svuotò della sua significatività per il prevalere dei nobili e degli alti funzionari a danno dei consigli municipali.
Il Parlamento, anche se lamentava la povertà del paese, fu sempre molto disponibile a concedere i donativi ed i tributi richiesti dal re di Spagna, dal momento che altri erano quelli che dovevano sopportarne il peso maggiore.